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presa al volo / n°32

rugby la plata completaok

 

Mar del Plata

qualcosa da ricordare

 

Il 15 gennaio scorso Franco Luciani, in una delle sue più avvincenti proposte nella rubrica rugby.cult (la numero 8) ha pubblicato un toccante commento sulla tristissima storia di una squadra di rugby, dopo aver letto "Mar del Plata", il libro che la racconta (scritto dal giornalista, deputato della camera e figlio di Giuseppe - ammazzato dalla mafia - Claudio Fava).

Giovedì 26 novembre, introdotto da Andrea Passerini (che con la consueta sensibilità ci fa ancora una volta pensare che è uno dei pochi che, senza averlo giocato, sa davvero parlare di rugby) Claudio Fava, nel piccolo accogliente auditorium Palazzo Bomben, sede della Fondazione Benetton, ha parlato dell'abominevole vicenda, della quale tratta il suo racconto, successa alla fine degli anni 70 nell'Argentina della sordida dittatura militare di Jorge Videla e dei suoi nefandi macellai.

Dall'odioso fango di un passato recente – che una inammissibile ragione di Stato vorrebbe cancellare dalla storia e dalla memoria collettiva – le parole di Fava hanno invece fatto emergere in modo rigoroso, asciutto e non  retorico la luce cristallina che emana dal ricordo dei 17 ragazzi della Plata Rugby Club che gli sgherri di uno stupido e sanguinario regime assassinarono – uno alla volta – sopprimendoli insieme agli altri quasi quarantamila "desaparecidos", nei voli della morte o in altri modi altrettanto atroci. Nella sua ignorante furia devastatrice quel governo illeggittimo privò il mondo dell'energia, dell'intelligenza, del dinamismo e dell'allegria di quel manipolo di impavidi "chicos" e di una intera generazione di giovani argentini.

È una piccola terribile storia ma, anche, estremamente edificante e mi permetto di riparlarne ancora una volta, con la speranza che tutti i ragazzi che giocano a rugby leggano prima o poi questo libro, perché nelle figure di quei ragazzi nel loro pensiero, nell'immaginare i loro volti possano riconoscere anche il senso più alto dell'essere "umanamente rugbysti".

Avrebbero potuto salvarsi quasi tutti, quei giovani giocatori, evitare lo spavento e la paura, le torture fisiche e le mutilazioni, sfuggire la morte. Sarebbe loro bastato abbandonare la squadra o il Paese, smettere di giocare, piegare la schiena e la coscienza, rinunciare allo status di uomini liberi che rivendicano il loro sacrosanto diritto di scegliere.

NON LO FECERO!

Scelsero invece la squadra, il rugby e quello che questo rappresentava per loro. Entrarono in campo ogni domenica consapevoli che durante i giorni successivi qualcuno tra loro avrebbe pagato col martirio e con la vita tanta sfrontatezza. E lo fecero senza la pretesa di essere eroi, accettando la più crudele delle conseguenze per amore verso i propri compagni per tenere ben dritta la propria schiena e per non dover mai abbassare lo sguardo: portarono  l'estremo definitivo placcaggio, senza indietreggiare di un millimetro, al più vigliacco e abominevole degli avversari.

Vorrei, come sono certo vorrebbero il nostro Presidente, Franco, i due Marco, Titta e Mariano, che l'altra sera, con me e Lisa, hanno assistito all'incontro, che la lezione di quei giovani coraggiosi non fosse ignorata, che l'esempio che ci hanno lasciato in quei giorni terribili fecondasse il cuore e le menti dei nostri ragazzi perché possano crescere più solidi nei VERI VALORI, capaci di affrontare nel campo e fuori dal campo le vicende della vita e i manrovesci del destino, di difendere con orgoglio l'autonomia del proprio pensiero, la nobiltà delle  idee e il diritto di esprimerle, il valore assoluto del rispetto, della lealtà e dell'amicizia, incondizionata e autenticamente condivisa

ruggers, leggete questo libro!

 

Gibe