presa al volo / n°72
presa al volo / n°72 - 01.10.21
la suadente
uniforme
continuità
Immaginate il crinale di una collina stagliarsi all'orizzonte con rassicurante certezza. Morbido e prevedibile. Un'onda lenta che muove il mare lontano dalla costa, senza infrangersi, al punto che la si potrebbe scambiare per un respiro. Il bordo delle guance di un neonato, il profilo di un giovane seno, la superficie di una vela che si gonfia paffuta abbracciando il vento. Percorrete idealmente con un dito queste curve, percepite con i vostri polpastrelli la loro prevedibilità. Lasciatelo scorrere senza il timore di inciampare o di dover affrontare insidiose pareti verticali o burroni senza fine. Sono curve unite da una caratteristica comune che in matematica si definisce: uniforme continuità. Funzioni che non oscillano liberamente. Che non si impennano, che non si interrompono. Funzioni che, con il loro andamento, trasmettono sicurezza. E, non a caso, questa loro peculiarità è una condizione necessaria affinché siano derivabili. Affinché, in parole povere, sia possibile stabilire attraverso un numero, e quindi in modo oggettivo, quanto rapidamente crescano o diminuiscano. In ogni loro punto e quindi in ogni momento della loro esistenza. Funzioni prevedibili, tranquille, certe. Funzioni che inoltre si lasciano giudicare. Facilmente. Con strumenti certi e uguali per tutti: per chi viene giudicato e per chi giudica.
Davide ha chiuso la tesina del suo esame di maturità citando le parole di un filosofo francese dei primi anni del 900: Francoise Mentre. “L’idea di creazione è inseparabile da quella di discontinuità”. All’uomo sfugge “il ritmo vero del cambiamento” perché “egli collega stati successivi e ordina come un cinematografo delle istantanee”. E ancora: “egli suppone che variazioni insensibili o leggere producano, accumulandosi, differenze sensibili, ma lo suppone gratuitamente, poiché la consuetudine può mascherarci tanto un procedimento discontinuo che un movimento uniforme…”
E ha poi aggiunto:
“La scuola, a mio avviso, si avvicina molto a questa visione” ingannevole “di continuità e, forse, ancora di più, di uniformità. Un mare immenso dai movimenti lenti. Insomma, almeno nell’intervallo di tempo della mia esperienza, è una funzione uniformemente continua. Mi riferisco soprattutto ai contenuti di ciò che insegna, alla metodologia e, non ultime, alle sue modalità di valutazione. Uno studente mediamente bravo in tutto, diligente e tranquillo è “derivabile”. Lo si può giudicare facilmente. E viene apprezzato molto di più di uno che magari è irrequieto ed è un genio in una materia, faticando in altre. La sua discontinuità non viene apprezzata. Non è giudicabile secondo i canoni classici. Rispetto alla uniformità continua di ciò che viene proposto e al metodo di valutazione, non ha scampo.
Eppure, in questi anni ho imparato sulla mia pelle che Mentre aveva ragione: non si cresce in modo continuo. Come la storia dell’umanità insegna i momenti fondamentali sono i punti di discontinuità. La crescita ne ha bisogno. Ed è vero che a quei punti è importante come ci arrivi, ma spesso per superarli servono picchi e non è sufficiente la uniforme continuità.
Penso alle guerre, alle carestie. Penso inevitabilmente alla pandemia che stiamo vivendo.”
Come dargli torto?
La vita, nel suo intervallo di esistenza, non è certamente una funzione continua.
A chi non è mai capitato a metà di una discesa dolce o quando pensava di aver raggiunto la fine di una salita, di trovare, inaspettato, un punto di discontinuità? Un altro concetto matematico: l’antitesi della continuità. Un buco, una fossa, una porta chiusa, un muro, un burrone. Ciò che ti arriva quando meno te lo aspetti. Ed è proprio dopo questi punti che la curva spesso subisce delle variazioni repentine ed improvvise. Addirittura, dei salti. Imprevedibili. Incontrollabili. Impossibili da giudicare perché conseguenza di momenti unici e a cui ogni curva reagisce in modo diverso.
Ma allora se la scuola, oltre ad istruire, ha il compito di formare, dovrebbe considerare ed accettare anche le discontinuità. Andare oltre le griglie rigide e sempre uguali che la caratterizzano sia nella proposta educativa, che nell'accettazione dei suoi allievi e nella loro valutazione.
Lo sport in questo è formidabile. Non solo le squadre, ma in generale le competizioni richiedono ruoli e caratteristiche che rendono l’attività democratica e permettono di ampliare il range dei requisiti necessari. Una buona squadra è completa nelle sue diversità. Un buon atleta è in grado di sopperire a lacune apparentemente incolmabili con qualità personali offrendo così prestazioni fuori dagli schemi. Non solo. Lo sport ci insegna a creare punti di discontinuità in grado di farci superare le difese o quelle difficoltà che sarebbero insuperabili se affrontate in modo “ordinario” e allo stesso tempo ci prepara ad affrontare le variazioni improvvise e spesso imprevedibili che ci scagliano addosso i nostri avversari. E anche se nel tempo le competenze richieste sono diventate sempre più trasversali, la specializzazione e quindi la discontinuità rimane sempre fondamentale.
No. La vita non è una funzione uniformemente continua.
Non possiamo pensare che la scuola non se ne sia accorta. Speriamo solo si adegui presto.
Lo sport invece se n’è accorto da tempo, forse da sempre.
E pensare che per alcuni è un semplice divertimento al quale si può tranquillamente rinunciare…
Andrea Vidotti
Paolo Marta
👉 qui l'articolo per l'evento di presentazione del libro