presa al volo / n°74
presa al volo / n°74 - 30.03.22
oh capitano,
mio capitano!
da un post facebook di Paolo Valbusa
dirigente sezione arbitri di treviso
Una delle figure fondamentali del gioco del rugby è quella del capitano.
In tutti gli sport di squadra, il capitano riveste un ruolo di grande importanza e responsabilità ma nel rugby la sua figura è circonfusa, non esagero, da una sorta di sacralità. Anche dal punto di vista storico, il capitano viene prima dell’arbitro. In un bel libro del sociologo tedesco Norbert Elias, Sport ed aggressività, si spiega come ai primordi del nostro sport, che si giocava in maniera molto differente (e certo più cruenta) da quella attuale, i capitani delle squadre (quest’ultime, in taluni casi, erano allargate all’intera popolazione di un borgo o di un paese) avessero il gravoso compito di scegliere e definire in anticipo i termini della contesa. In pratica, le regole con le quali giocare. Ma anche in tempi non così lontani, soprattutto nel mondo anglosassone, non era raro che il capitano ricoprisse anche il ruolo di allenatore della squadra. Penso, tanto per fare un esempio, alla grande terza linea Graham Mourie, capitano ed allenatore degli All Blacks che per primi misero piede in Italia (Padova, 1977). Un’usanza, quella del capitano/allenatore, che ha lasciato una traccia durevole anche nel glossario rugbistico visto che l’ultimo allenamento (leggero) prima della partita è chiamato captain’s run.
Tornando all’oggi ed ai nostri campionati, mi duole constatare come, in taluni casi, a ricoprire quel delicato ruolo vengano chiamati, nominati (o eletti) giocatori palesemente inadatti a svolgere tale funzione. Il discorso vale soprattutto per le formazioni giovanili ma debbo dire, dall’alto della mia esperienza ormai ventennale di arbitro, che in una certa misura riguarda anche le squadre seniores. Spesso le scelta cade su il giocatore più dotato fisicamente, quello che segna più punti o più mete, che fa più strada con il pallone in mano, insomma quello che genericamente si potrebbe definire come il “più bravo”. Una scelta che non tiene conto, però, del fatto che per ricoprire il ruolo di capitano servono essenzialmente doti di leadership, equilibrio e capacità di mediazione. Ora, io non voglio entrare in campi che non mi competono e già sento l’obiezione dell’allenatore, sul quale cade sovente la responsabilità di attribuire i gradi, che mi dice “chi meglio di me conosce i ragazzi e sa chi può andare a ricoprire quel ruolo?” ma è un fatto che a volte gli arbitri si ritrovino ad avere come interlocutore, in campo, un giocatore palesemente inadatto a svolgere le funzioni di capitano.
A mio modesto modo di vedere, il capitano deve essere un mediatore tra le istanze che arrivano dal “basso”, cioè dai propri compagni di squadra, e quelle che provengono dall’”alto”, cioè dal direttore di gara. Ecco perché prima ho parlato, riferendomi ai requisiti richiesti, di capacità di mediazione
Non deve trasformarsi quindi, passatemi il termine, in una sorta di “delegato sindacale” che all’arbitro si rivolge soltanto per chiedere maggiori diritti e maggiori tutele per la propria squadra. Non può, insomma, soltanto chiedere. Deve anche dare, cioè collaborare con il direttore di gara, trasmettere le direttive di quest’ultimo ai compagni di squadra e fare in modo (ritorna il discorso della leadership) che vi si attengano. Tenendo sempre bene a mente che il comportamento nei confronti dell’arbitro, così come il comportamento di questi nei confronti del capitano, deve essere conforme ai principi di lealtà, correttezza e buona educazione. La protesta veemente e, più in generale, l’atteggiamento di insofferenza verso la condotta arbitrale che è possibile, talvolta, riscontrare anche nei giovani, giovanissimi atleti investiti della responsabilità del grado oltre ad essere vietati dal regolamento, ed in palese contrasto con lo spirito del gioco, sono controproducenti perché, in ultima analisi, finiscono solo per indisporre l’arbitro.
Sono fermamente convinto che la crescita del movimento rugbistico passi anche attraverso il miglioramento del rapporto tra arbitro e capitano. Il tutto, ovviamente, sempre all’insegna del reciproco rispetto.
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