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n°10 di Franco Luciani

rugbycult 10

 

Rugbys Strangest Matches

storia e storie di rugby

 

John Griffiths

Rugby's Strangest Matches

Extraordinary but True Stories from over a Century of Rugby

Portico, London 2008

Newcastle (Inghilterra), una piccola libreria di periferia, una di quelle in cui si vendono solo libri usati.  Entro e vedo un intero scaffale riservato a libri di sport. Mi avvicino, scartabello e mi rendo conto che quasi tutti sono dedicati al calcio. Qualcuno parla di cricket, forse uno di golf, ma non ce n'è nemmeno uno che parli di rugby! D'accordo, penso, siamo nel nordest dell'Inghilterra: qui, al contrario di quanto accade in Italia, il rugby non è molto popolare come nel centro e nel sud del Paese. Però, penso anche, siamo pur sempre in Inghilterra: possibile che non ci sia neanche un libro sul rugby?! 

Chiedo spiegazioni al negoziante, il quale, guardandomi un po' stranito, mi dice di aspettare un momento e se ne va nel retrobottega. Ritorna dopo cinque minuti con un libro rosso in mano, evidentemente un fondo di magazzino.
Il titolo, Rugby's Strangest Matches, mi incuriosisce immediatamente. Lo sfoglio, leggendo qualcosa qua e là, e ne rimango conquistato. Lo acquisto (non potevo nemmeno fare altrimenti dopo la gentilezza del negoziante...) e torno a casa a leggerlo.

 

Quasi 120 episodi, ciascuno dei quali legato a una particolare partita di rugby, nell'arco di oltre 130 anni: dal 1871 al 2007. Quasi un racconto per ogni anno. Un vero e proprio piccolo manuale di storia del rugby, fatto di aneddoti e curiosità da tutto il mondo. Inutile dire che, per quanto strane, si tratta di vicende realmente accadute che l'autore, John Griffiths, ha saputo ricostruire grazie a ricerche su giornali e memorie dei protagonisti. Non ne esiste, purtroppo, una traduzione italiana.
Presento qui una sintesi degli episodi che per qualche motivo mi hanno colpito più di altri.

Franco Luciani

 

La battaglia dell'orecchio di Waldron (The Battle of Waldron's Ear)
Oxford (Inghilterra), ottobre 1966

orecchioross cullen

 

Un episodio non proprio edificante per il rugby, e anche triste se vogliamo, ma che in realtà testimonia, ancora una volta, la sportività e la lealtà che gran parte dei rugbisti e delle persone che si occupano di rugby, sotto sotto, possiede.
Ollie Waldron era un pilone irlandese che studiava fisica nucleare al Merton College di Oxford. Nel 1966 fu convocato nella selezione della squadra dell'Università di Oxford per giocare una partita “amichevole” contro la nazionale australiana che quell'anno era in tournée nelle isole britanniche. La squadra degli studenti universitari di Oxford iniziò la partita molto bene, segnando 9 punti nei primi 12 minuti. Solo all'inizio del secondo tempo i Wallabies riuscirono a ribaltare il risultato: 11-9.
La partita fu molto tesa e quanto accadde a metà del secondo tempo lo testimonia: da una mischia chiusa il pilone Waldron uscì con il lobo orecchio completamente lacerato. Il tallonatore australiano Ross Cullen, messo in difficoltà da un ingaggio apparentemente irregolare di Waldron, aveva deciso di farsi giustizia da solo, senza che l'arbitro si accorgesse di nulla. Waldron fu immediatamente portato in ospedale a farsi ricucire.
L'indomani, il team manager dell'Australia, Bill McLaughlin decise di rispedire a casa Cullen a causa del suo comportamento antisportivo. La sera stessa, Cullen prese un aereo per Sydney. In 13 anni di onorata carriera, mai era stato coinvolto in episodi di questi tipo. Una settimana dopo il suo rientro in Australia, la selezione della sua regione lo convocò per una partita a Brisbane, designandolo come capitano. Cullen non rispose alla convocazione. Aveva deciso di non giocare mai più a rugby, tenne fede alla sua promessa e scomparve dalla scena rugbistica.

 

Antichi metodi di trasferta (Primitive Travel Arrangement)
Cork (Irlanda), febbraio 1905

Questa è la storia di un rugby davvero di altri tempi!
Per raggiungere Cork, sede di una partita internazionale contro l'Irlanda, nel 1905 i giocatori della nazionale inglese dovettero attraversare il Mar d'Irlanda in nave fino a Dublino e da lì scendere in treno fino a Cork, stipati come sardine in un vagone di terza classe riservato ai fumatori...
La partita finì 17-3 per l'Irlanda e c'è da credere che la proibitiva trasferta abbia influito sulla prestazione dell'Inghilterra!
Peraltro, a segnare una delle mete per gli irlandesi fu Basil Maclear, giocatore nato a Portsmouth (Inghilterra), che dai selezionatori inglesi era stato ritenuto non sufficientemente bravo per poter giocare con il XV della Rosa: oltre al danno, la beffa!

 

La convocazione dell'ultim'ora (Last-Minute Team Change)
Cardiff (Galles), gennaio 1930

Anche questa è la storia di un viaggio, forse più rapido ma non meno avventuroso.
All'età di 34 anni Sam Tucker, tallonatore inglese di Bristol, era riuscito a collezionare 22 caps in Nazionale e aveva fatto parte della squadra che nel Cinque Nazioni del 1928 vinse Grand Slam, Triple Crown e Calcutta Cup. Nel gennaio 1930 fu però escluso dalla rosa dell'Inghilterra che di lì a poco, a Cardiff, avrebbe disputato la prima partita del Cinque Nazioni di quell'anno contro il Galles. L'intenzione dei selezionatori inglesi era chiaramente quella di ringiovanire la squadra.
Alla vigilia del match, nel corso dell'allenamento di rifinitura, il pilone Henry Rew si infortunò a un dito del piede. La mattina dopo, Rew si rese conto che l'infortunio era più grave del previsto e dovette rinunciare a prendere parte alla partita che sarebbe cominciata poche ore dopo. I selezionatori non ebbero dubbi sul da farsi: l'unica soluzione era convocare immediatamente Tucker.
Alle 12.25 Sydney Cooper, segretario della Rugby Football Union, telefonò all'ufficio di Bristol dove Tucker lavorava e lo trovò regolarmente al suo posto di lavoro (erano lontani il tempi del professionismo...). Nemmeno Tucker ebbe dubbi sul da farsi. Preparò la borsa, prese un taxi da Bristol fino al vicino aerodromo di Filton e si imbarcò, per la prima volta nella sua vita, su un biplano a due posti. Dieci minuti più tardi, il pilota atterrò in un campo alla periferia di Cardiff. Tucker raggiunse la strada più vicina, fermò un camion di carbone e riuscì a farsi dare un passaggio fino al centro della capitale gallese. Giunto nei pressi dell'Arm's Park, lo storico stadio di Cardiff, Tucker dovette farsi largo a forza tra la folla che stava per entrare per assistere alla partita. Entrò nello spogliatoio degli ospiti alle 14.40, cinque minuti esatti prima del fischio d'inizio.
La partita terminò 11-3 per l'Inghilterra e Tucker giocò tutti gli ottanta minuti con il numero 2 sulle spalle. Venne convocato anche per le altre tre partite di quel Cinque Nazioni che fu vinto, ça va sans dire, dal XV della Rosa.

 

L'incubo del tipografo (The Printer's Nightmare)
Parigi (Francia), marzo 1980

Da un Tucker a un altro Tucker, cinquant'anni dopo.
Colm Tucker era uno di quei flanker irlandesi che, quando giocano, sono in ogni azione e in ogni parte del campo. Nel 1978 fece parte della mitica selezione di Munster che nel 1978 sconfisse 12-0 gli All Blacks. Nel 1979 venne convocato per il Cinque Nazioni e l'anno seguente prese parte al tour dei Lions.
Fin dall'inizio della sua carriera internazionale, Colm Tucker dovette abituarsi a vedere il suo nome storpiato: spesso e volentieri, infatti, la stampa inglese cambiava il suo nome in Colin.
Ma quanto accadde a Parigi nel 1980 fu davvero troppo!
Nella lista ufficiale dei giocatori della partita Francia-Irlanda, nella quale era tra le riserve, l'iniziale del suo cognome, la lettera T, fu sostituita per errore con una F: Tucker divenne quindi Fucker, l'equivalente inglese di “stronzo, pezzo di merda”...
Quando, all'inizio del secondo tempo, Tucker entrò in campo al posto di John O'Driscoll, lo speaker francese lesse il suo nome dalla lista giocatori, scatenando l'ilarità dei tifosi irlandesi e facendo entrare di diritto l'episodio nella storia del rugby.

 

La Volvo verde che fece fermare la partita (Green Volvo Stops Play)
Sunbury (Inghilterra), marzo 1996

volvo

 

 

 

 

 

 

 

 

Divertente e piuttosto singolare è anche quanto avvenne a Sunbury nel marzo 1996.
Sunbury è il sobborgo di Londra in cui si trova lo stadio dei London Irish. Qui, nel marzo 1996, London Irish e Leicester Tigers si stavano disputando la semifinale della Anglo-Welsh Cup, una coppa messa in palio ogni anno tra le 12 squadre della Premiership e le 4 squadre regionali gallesi. Una selva di automobili parcheggiate in ogni dove circondava lo stadio e un'incredibile folla era assiepata nelle tribune. Sebbene i Tigers conducessero nella prima mezz'ora di gara per 8-22, alla fine del primo tempo i London Irish erano riusciti ad accorciare le distanze e ad andare all'intervallo con il punteggio di 21-22.
Al quinto minuto del secondo tempo, i due pacchetti stavano per prepararsi all'ingaggio di una mischia chiusa, quando lo speaker dello stadio annunciò il numero di targa di una Volvo verde che ostruiva l'uscita dal parcheggio e che, se non fosse stata spostata entro breve, sarebbe stata rimossa dalla polizia.
Gary Halpin, pilone destro e capitano dei London Irish, che stava per ingaggiare la sua personale sfida contro il pilone sinistro avversario, si rese immediatamente conto che quella Volvo verde era proprio la sua!
Il gioco venne interrotto per qualche minuto per permettere ad Halpin di correre negli spogliatoi, recuperare le chiavi della Volvo verde e darle a un amico affinché la spostasse.
Halpin riuscì a risparmiarsi una multa salata, ma non poté evitare la vittoria per 21-46 dei Tigers, che andarono in finale contro il Bath.

 

rugbycult 10

 

n°09 di Adriana Scalise

Cin

 

Mani come badili: c'era una volta il Cin

 

C'era una volta il Cin ...
... e c'è ancora


Piuttosto che come la storia di una biografia, questo documentario si configura come la biografia di una storia. Una storia, neppure troppo remota, che appartiene all'universo collettivo di una o meglio di due comunità: la Ruggers Tarvisium e il Gruppo Grotte. Una storia peraltro condivisa dall'intera città di Treviso, dove - come accadeva in molte città italiane, negli anni Settanta e i primi anni Ottanta, ferveva ancora il fermento ideologico post sessantottino. 
Col sussidio di spezzoni di video amatoriali dell'epoca ed attraverso la testimonianza appassionata e sincera degli amici e di alcuni famigliari, Tono De Vivo ed Enzo Procopio hanno realizzato un documentario che ripercorre la vita di Francesco Dal Cin, rugbista e speleologo. Dai racconti, quasi tutti in dialetto trevigiano, di aneddoti ed episodi di vita vissuta insieme agli amici, emerge l'animo schietto, gioviale e cameratesco di un uomo grande, per statura e per cuore, che amava vivere intensamente ed amava condividere la sua vita con le persone che amava.

Impossibile non provare nostalgia - che poi è soltanto uno, fra i vari sentimenti che la visione di questo documentario suscita - per quegli anni pionieristici, per il rugby e per la speleologia, in cui c'era tanta voglia di fare, di costruire, di credere in qualcosa. E poi le cose si facevano per davvero, con pochi mezzi ma con la semplicità e la leggerezza che solo la passione vera e l'energia pura sanno infondere.

Qualità queste (passione ed energia) che, non possiamo fare a meno di constatare, il “professionismo spinto” dei nostri giorni ha relegato in secondo piano, in nome di un tecnicismo assoluto e per certi versi, mi si lasci dire, dissennato.
Ed è proprio sulla base di queste premesse che le squadre della Ruggers Tarvisium e del Gruppo Grotte sono cresciute ed hanno raggiunto buoni risultati. Laddove per risultato si intende soprattutto solidarietà e coesione di gruppo, considerate non tanto come il mezzo per giungere al successo, ma il fine stesso da raggiungere, questo si, con successo.

Un racconto appassionato, fatto di viaggi, molti dei quali in Cappadocia, di trasferte, ed avventure di ogni tipo, in cui goliardia e spirito di squadra, rinsaldati da chitarra, barzellette e vino, diventano i protagonisti assoluti di un'avventura coinvolgente, alla cui guida troviamo quel capitano di ventura che fu ed è ancora (i suoi amici non hanno dubbi) Francesco Dal Cin.

Adriana Scalise

 

 

Mani come badili nel buio amico

Sulla roccia liscia e nel fango che incolla, nelle acque limpide di sifoni profondi.

Mani come badili a tessere nodi,
a inventare percorsi, a descrivere vie sotterranee, nascoste.

A portare feriti e donare conforto, a placar la paura, ad urlare la forza.
A indicare stupite fiori e gemme di roccia, a cercare, ostinate, risposte, o mistero.

A stringere lievi ben più piccole mani, di scriccioli attenti e un po' timorosi,
a guidar passi incerti, a gettare una luce, su ciò che si trova al di sotto del cielo.

Mani come badili, nelle piazze ed in strada, a portare bandiere, a gridare diritti.
A distruggere dubbi, a indagare certezze, a rider le mode, a sputar sul consenso.
Ad abbattersi chiuse, chiuse a pugno da maglio, sopra tavoli ignari,
per parlare del mondo.

Mani come badili sull'ovale di cuoio,
nella nebbia o nel sole, sopra campi bagnati o già duri di ghiaccio.

Occhi come finestre, tra la barba ed il cuore.
Voce come tuono, rassicurante come un basso continuo.

Se esiste un mondo al di là della soglia, ci piace pensarlo di montagne e di grotte,
di campi da rugby, di fiumi e di mari, di osterie d'altri tempi.
Ci piace pensarti un po' assorto a fumare,
mentre respiri spazio a mille miglia di distanza.
Se ciò che resta è soltanto il ricordo, hai vinto in partenza.
Amico, fratello, padre, compagno e maestro, ci hai insegnato di tutto.
A resistere duri ai placcaggi della vita, a non mollare mai,
“senza perdere la tenerezza”, come disse quel “Che” che hai molto amato.
Ci hai insegnato la partecipazione, la solidarietà, la disponibilità, la condivisione.
Continueremo a esplorare, a giocare, a bere e a cantare anche per te, ma è dura,
amico grande, è dura.
Saremo in grotta a coprirci di buio, su un campo da rugby a coprirci di fango,
di fronte a un bicchiere a riempirci di vino.
Ma per quanto si possa tentare, non sarà mai più la stessa cosa.
Cerchiamo parole ma escono lacrime, senza ritegno né vergogna.
Le parole faticano a parlare di assenza.
Ciao, Cin


Tono De Vivo

 

 

n°08 di Franco Luciani

Mar del Plata

 

Claudio Fava

 

Mar del Plata


add editore, 2013

 


“Il ragazzo magro con la maglietta rossa tuffò le braccia in avanti, il palmo delle mani verso l'alto come un penitente. Afferrò il pallone, se lo portò al petto e partì verso l'altra parte del campo inseguito da uno tracagnotto e lento come un mulo che cercava invano di lazzariargli i calzoncini, i polpacci, le caviglie... Alla fine lo mandò a farsi fottere mentre lo smilzo se ne andava via con la faccia stracangiata da una specie di risata. Arrivò sulla linea di fondocampo, diede un morso alla palla e la lasciò cadere a terra come una cosa improvvisamente inutile: era il suo modo di dire che si sentiva sazio.
Quattro punti che chiudevano una partita senza misericordia, sei mete di distacco, i picciotti del Corrientes se ne potevano tornare a casa con le corna basse a raccontare come giocano a rugby quelli di Mar del Plata, come si pennellano certi drop che tagliano il cielo senza uno sbavo, senza virgole, il pallone conficcato in mezzo all'aria che pare un bullone, i trequarti che ti aprono la strada spazzando il campo e tu che te ne vai, dritto come un treno, come una maledizione, come...”

 

 

L'incipit è folgorante, specialmente per uno che magro e con la maglietta rossa ci è nato. E la storia - cruda, avvincente e commovente come solo le storie vere sanno esserlo - è da leggere tutto d'un fiato, come un bicchiere d'acqua fresca in un giorno di calura estiva, ma anche da gustare con calma, come un brandy d'annata. 

Mar del Plata, 1978: l'Argentina della dittatura militare di Videla, l'Argentina dei desaparecidos, ma anche l'Argentina che gioca a rugby, nell'anno in cui - guarda caso - proprio in Argentina, si terrà la Copa Mundial de Fútbol, destinata a essere vinta - guarda caso - proprio dall'Argentina, quella di Kempes e Passarella.

E l'allenatore della squadra di rugby di Mar del Plata si chiama pure lui Passarella. Anziano, claudicante, burbero, Hugo Passarella è l'unico in grado tirare fuori il meglio dalle sue “bestie”: Javier detto el Mono, Otilio, Pablo, Gustavo, Santiago, el Turco, Mariano... Sono ragazzi che studiano all'università, qualcuno va ancora a scuola, altri lavorano: postino, fornaio, operaio. Ma sono anche i giocatori della prima squadra del Club La Plata e il loro obiettivo stagionale è vincere il campionato.
Tra loro c'è anche Raul, anzi Raulito, il protagonista “lungo, magro, cocciuto”. Fa il meccanico e gira su una vecchia moto Guzzi che dice essere la Poderosa, quella usata da Ernesto Che Guevara per il suo viaggio attraverso l'America Latina.

All'improvviso, alcuni di questi ragazzi iniziano a scomparire per ricomparire dopo poco, chi riaffiorando dalle acque del Rio de la Plata coi polsi legati col fil di ferro, chi abbandonato in un'auto ai margini di una strada di periferia con una pallottola in testa, chi riverso ai bordi di una discarica con il volto livido e tumefatto.

Alla squadra di Mar del Plata rimangono solo due scelte: scappare altrove, lontano da quella barbarie, oppure restare a calcare i terreni da gioco, lottando per il titolo. Questa è la storia - vera - di un gruppo di ragazzi che, continuando a giocare a rugby, seppe dire di no alla crudele ottusità della dittatura militare argentina.

Franco Luciani

 

n°07 di Adriana Scalise

il popolo ovale

 

Francesco Costantino 

 

Il popolo ovale

Dieci storie di rugby italiano

con le fotografie di Federico Scoppa
e la prefazione di Stefano Bettarello

 

Possibilia editore, 2012

 

 

 

Un libro di facile lettura, che narra con semplicità e schiettezza la storia e la cronaca del rugby italiano, un libro che lascia agli stessi protagonisti la facoltà di raccontarsi, dove per protagonisti non si intendono i giocatori da cover story, ma tutti quei giovani atleti (ed anche non più giovani) che ogni giorno affollano i campi da rugby. E con loro, a pari merito, tutte quelle persone, come allenatori, tecnici, volontari e genitori, che lavorando dietro le quinte contribuiscono a supportare questo sport.

 

 

Da Treviso a Catania, da Catanzaro a Milano, passando per Napoli, Ravenna, e così via, Francesco Costantino traccia - con l'agilità cronachistica che contraddistingue la sua scrittura - una mappa delle Società di rugby, che si sostanzia come un veloce ma inappuntabile manualetto antropologico a carattere sportivo. La configurazione orografica del territorio, il suo assetto politico ed economico, le diverse abitudini e perfino le caratteristiche climatiche, sono tutte peculiarità che confluiscono nel rugby, arricchendolo di valori “locali”.

Francesco Costantino visita le Società, entra nelle Club house, osserva, descrive, interroga, raccoglie testimonianze di prima mano (quelle dei ragazzi sono le più spontanee e divertenti) e traccia il profilo del “personaggio”. Riesce quindi a fare il punto sul passato, a descrivere il presente, lasciandoci presagire le coordinate future di questo sport.

Ed eccoli gli italiani, capaci di innestare nelle loro radicate tradizioni, quel caratteristico spirito britannico tipico del rugby. Ce n'è per tutti. Per i Genovesi: “Lamentosi e insoddisfatti eppure indomabili. Proprio loro che con le montagne alle spalle, non possono far altro che conquistare il mare …”. Per i Milanesi: “Se ce la puoi fare a Milano, ce la puoi fare ovunque ... . Il cielo grigio che fa tanto stereotipo e un insopportabile puzzo di sporco che ti assale sbucando fuori dagli angoli più nascosti”. Ci sono i Briganti di Librino (Catania) belli e solari, questo si. Può anche sembrare strano ma “certamente non si piangono addosso … e sono nemici dell'indifferenza. Di fronte ad una giusta causa sono capaci di un atto di forza. Ma questa è gente che non scappa, al massimo fa scappare. Che è ben diverso”. Ci sono le mille difficoltà dei Catanzaresi; posti di fronte alla illegalità diffusa sul territorio e costretti ad una diaspora continua alla ricerca di un campo dove poter giocare.

L'ultimo pensiero - in realtà il primo in ordine di apparizione nel libro - vola ai Ruggers della Tarvisium (Treviso), dove tra goliardia e scudetti, partendo dal 1969 si arriva ai nostri giorni, tutti indistintamente, attraversati dal “vecio per sempre giovane” Ino Pizzolato. Un nome una garanzia, un punto di riferimento per questa Società dove, e concludiamo con le parole dell'autore: “chi parte è sempre destinato a tornare. Con il figlio, magari. Perché la Tarvisium è anche un susseguirsi di cognomi sempre uguali. Affidare quanto si ha di più importante solo a chi ti ha fatto sentire veramente bene: il concetto è vincente. Come la Tarvisium”.

Adriana Scalise

 

n°06 di Adriana Scalise

le-mete-dellallenatore

    

Le mete dell'allenatore

Prospettive di psicologia dello sport per l'allenatore di rugby

Flavia Serragatta

 

 

 

A cosa pensi...?

Proseguendo lungo la “disamina trasversale” del gioco del rugby, vi invito alla lettura del libro Le mete dell'allenatore di Flavia Sferragatta. A dispetto del titolo che lo vorrebbe destinato ad un target specifico, il volume si presenta come un prontuario ricco di riflessioni, analisi, consigli, ad appannaggio non solo degli allenatori di rugby, ma di tutti coloro che, a vario titolo, sono coinvolti in attività educative. E cosa ancor più sorprendente, esso si rivela di utile lettura anche per i discenti della disciplina del rugby (… e non solo).

Ricco di esempi metodologici, e corredato di una corposa bibliografia, Le mete dell'allenatore non può certo definirsi un libro propriamente discorsivo: si richiede, pertanto, una lettura attenta e riflessiva. L'elemento cardine, ovvero la “meta” per eccellenza dell'allenatore, consiste nell' aiutare ogni singolo giocatore a raggiungere la “consapevolezza” del gioco. Tuttavia, la strada che conduce alla consapevolezza è lunga e insidiosa, ancorché disseminata da piccole conquiste e soddisfazioni.

 


Il primo step che l'allenatore si trova a compiere in tal senso, consiste nella capacità di riuscire ad instaurare un clima motivazionale orientato alla “competenza” e badate bene, NON orientato alla “prestazione”. Per fugare ogni dubbio sull'apparente contraddizione di questa affermazione, diamo un'occhiata alla tabella, contenente in sintesi i comportamenti che afferiscono all'uno o all'altro clima motivazionale, qui di seguito riportata:

 

Clima motivazionale e comportamento dell'allenatore

 

    Orientamento sulla competenza  Orientamento sulla prestazione

  Il successo è definito in termini di miglioramenti

  individuali e di squadra

 Il successo è definito in base a vittoria e sconfitta      

  L'impegno viene premiato e la cooperazione

  apprezzata

 Vengono valorizzati solo gli atleti più abili
    Tutti sentono di avere un ruolo importante  C'è rivalità all'interno della squadra
    Gli errori sono parte dell'apprendimento  Gli errori vengono puniti

  

Attorno all'asse portante di questi enunciati, molto semplici ma mai ovvi, si snodano le coordinate del modello TARGET di Epstein, il quale consiste in alcune linee guida comportamentali lungo le quali si destreggia l'allenatore per il raggiungimento dei suoi fini (o mete).

 

    Clima orientato sulla competenza   Clima orientato sulla prestazione

 

 Compito   

 task   

 

Attività variate, coinvolgenti, con diversi

livelli di difficoltà.

 

Obiettivi individualizzati e a breve termine.

 

 

Assenza di varietà e scelta.

Allenamenti ripetitivi.

 

Obiettivi decisi dall'allenatore uguali per tutti.

 

 Decisioni
 authority

 

Atleti coinvolti nelle decisioni e nella leadership.

 

Sviluppo di abilità di autogestione e autoverifica.

 

 

Scarsa o nessuna partecipazione

degli atleti alle scelte.

           Riconoscimenti

recognition   

 

Riconoscimento di progressi e

miglioramenti individuali e collettivi.


Accento sul valore della persona.


Uguali opportunità per tutti di ricevere riconoscimenti

 

 

Riconoscimenti basati sul confronto sociale

e dati pubblicamente.

 

Valorizzazione in prevalenza di

risultati migliori.

              Raggruppamenti

grouping

 

Lavoro con gruppi eterogenei e flessibili.


Opportunità di lavorare in gruppo in

modo cooperativo.

 

 

Assenza di lavoro a gruppi o

formazione di gruppi solo

per livello di abilità

   

Valutazione

evaluation

 

Criteri individualizzati per valutare miglioramento e impegno.

 

Promozione dell'autovalutazione.

 

Valutazioni significative fornite anche

in privato.

 

 

Criteri di valutazione basati

sull'essere migliori

degli altri e sulla vittoria.

   

 Tempo   

 time   

 

Opportunità e tempo per migliorare disponibili per tutti.

 

Promozione di organizzazione

autonoma nelle attività.

 

 

Organizzazione standard del tempo,

senza considerazione dei diversi

ritmi di apprendimento.

 

Ai profani come me, che vorranno avventurarsi nella lettura di questo libro, non sfuggirà l'importanza che l'autrice attribuisce “all'approccio positivo”, considerato come il metodo più efficace ad accrescere la “motivazione intrinseca” del giocatore, con la felice conseguenza di migliorarne la prestazione accrescendone il divertimento.

Good / Better / How è la formula che sta alla base del metodo “positivo” (per intendersi quello secondo il quale bisogna evitare di pronunciare la frase con NON DEVI (… fare qualcosa).

Ad esempio:
Buona la prestazione (good); ora prova a prendere l'avversario (better); per farlo controlla la corsa e rallenta qualche metro prima di arrivargli addosso (how).

Per la sua semplicità e per l'energia “positiva” che sottende, esso non necessita di alcun commento.

Mentre fra i tanti modi possibili e necessari al raggiungimento del “traguardo” suggerito dal titolo ce n'è uno in particolare che mi ha colpito, cioè quando l'allenatore ferma il gioco e chiede al giocatore prescelto:

A cosa pensi...? Qual è l'azione che hai appena compiuto...? Quale la prossima che ti accingi a compiere e perché...?

Il libro contiene tanti utili suggerimenti, ma forse un'unica infallibile morale: il lavoro dell'educatore è in continuo divenire, è un work in progress che si sviluppa nel tempo grazie all'apporto degli allievi, poiché è con loro che si cresce assieme. Le mete degli allenatori, così come quelle dei giocatori non possono mai essere considerati traguardi definitivi, ma sempre nuovi punti di partenza.


Buona lettura

 

Adriana Scalise

 

n°05 di Adriana Scalise

Ruggers

 

 

 

 

 

 

 

Ruggers

 

Paolo Benetti, Ermenegildo Anoja, Paolo Marta

Biblos Edizioni Cittadella (PD), 1990

 

 

 

 

 

 

  

 

Forse che una copertina e un titolo “di appartenenza” possano bastare a fare di un libro un “libro culto”..?

Se con culto ci riferiamo a ciò che in antropologia si intende per elemento di riferimento di una subcultura, nella fattispecie si tratterebbe di una squadra di rugby denominata Tarvisium i cui adepti sono chiamati Ruggers.

La domanda è retorica e la risposta la si trova proprio nel libro in questione. Un libro stupendo. Dapprima sorprende il fatto che pur essendo stato pubblicato nel 1990, cioè a stretto giro di fine campionato (89/90), per ampiezza e qualità dei contenuti abbia da subito travalicato i limiti cronachistici e territoriali e si sia collocato senza ombra di smentita nell'olimpo della storia del rugby (e non solo di quella trevigiana).

Il merito di tutto ciò lo si trova nella felice compenetrazione tra testo ed immagini. I testi di Paolo Marta sono il resoconto delle giornate più salienti del campionato. Intervallato di ricordi, immagini, sogni, canti, esso finisce per configurarsi come racconto “epico” di respiro universale e di forte impatto emotivo.

Infine, last but not least, le fotografie di Paolo BenettiErmenegildo Anoja, graffianti e spontanee, deliberatamente non illustrano il volume ma ne completano il senso. Laddove la mancanza di didascalie nulla toglie ma piuttosto aggiunge valore a queste belle foto sfocate e dalla grana grossa che inducono l'osservatore a soffermarsi sui volti concentrati e i muscoli tesi degli atleti nel tentativo di attribuire loro un nome.

Adriana Scalise

p.s.
Nell'inserire su queste pagine alcuni brani salienti, ci auguriamo che questo libro, tanto importante per la storia del rugby di Treviso quanto stimolante per i futuri rugbisti (trevigiani e non) possa essere (magari anche in forma di e-book) al più presto rieditato

 

pagina 19 e pagina 69

Pag 19

pag 69-Il-sacrificio

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

pagina 99 e pagina 110

pag 99-La-nostra-squadra-come-un-alberopag 110