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n° 16 di Adriana Scalise

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L'Elogio del Fango

[dedicato a tutte le mamme e ai pochi papà che hanno a che fare con il fango dei loro rugbisti]

Poesia pubblicata in Rugby Club, Anno 6°
n. 20, maggio 2012

I campi un tempo erano terreni duri, privi d'erba, con la pioggia diventavano risaie, ci sprofondavi dentro, ti sentivi risucchiare ed avevi paura di soffocare.

 

La prima volta
repelle / infastidisce
brucia
per freddo / per caldo

T'acceca / s'appiccica
ti soffoca / duole

L'esperienza è graffiante
quando tocchi il compagno la pelle ti si lacera

All'improvviso…

Lo ignori / non ci pensi più

Ti ci abitui / lo accetti
ti lasci avvolgere / coccolare

Quella terra che di solito ti resiste
ti respinge / ti schiaffeggia
fino a farti male

Ora ti invoca / ti accoglie

Non resisterle
non ingaggiare col fango
un inutile braccio di ferro

Ehi Rugger! Lasciati andare
enjoy the mud


Adriana Scalise

 

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n° 15 di Adriana Scalise

Durigon Rugby Copertina

 

Valter Durigon

Con la collaborazione di Fabio Benvenuto e Claudio Robazza

Non solo Rugby...

e non solo per il rugby

Proposte operative per la preparazione fisica generale e lo sviluppo coordinativo delle categorie minyrugby under 6-8-10-12-14

Calzetti Mariucci Editori

Accettare di recensire un libro “tecnico” sul rugby, che tratta di preparazione atletica e degli strumenti metodologico - operativi che la sottendono, costituisce certamente una grossa sfida per chi come me avventatamente ha scelto di commentarlo, ma in buona misura lo è pure per chi si avventura nella sua lettura. Con questa, a dire il vero, non molto confortante premessa, mi sono accinta a leggere il libro e mi sono da subito dovuta ricredere.
Avvincente, rivelatore, utile, ma soprattutto necessario. Necessario preambolo per capire come il rugby si apprende ed anche come si gioca. Valter Durigon schematizza ed esemplifica con efficacissimi disegni e fotografie esplicite, gli esercizi e le azioni di gioco corrispondenti alle diverse fasi di apprendimento, non tralasciando mai di motivarne la scelta sulla base della naturale evoluzione psicofisica del ragazzo.
Sin dai primi capitoli ci sentiamo come trasportati nel mondo dell'infanzia e si finisce per provare forte la sensazione di “libertà”, quella che soltanto i bambini possono provare quando corrono spensierati nei prati, quando si arrampicano veloci sugli alberi e scavalcano staccionate. Quando giocano a mosca cieca, a campana, a nascondino, o quando fanno la lotta. Attività semplici e spontanee che i bambini purtroppo non svolgono quasi più. 
Le motivazioni le conosciamo tutti: i pericoli, i giochi elettronici, ed anche (una mia personale considerazione) le soverchie apprensioni dei genitori.

E' compito degli educatori sportivi, spiega Durigon, colmare queste lacune e proporre delle valide, allettanti alternative, anche o soprattutto in forma ludica, ma comunque sempre adeguate allo sviluppo della naturale motricità del ragazzo, prerequisito fondamentale e funzionale allo sviluppo delle abilità del gioco del rugby. 
Buona lettura

Adriana Scalise

n° 14 di franco Luciani

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Storia di mete

che hanno fatto la storia

3. The greatest try ever scored (o That try)

Cardiff (Galles), Arm's Park, 27 gennaio 1973

È da poco iniziato il match tra All Blacks e Barbarians.

Da un raggruppamento neozelandese poco prima della linea di metà campo, il mediano di mischia All Black, Sid Going, gioca dalla chiusa per l'ala Bryan Williams che calcia in profondità dentro i 22 avversari.

La palla rimbalza e poi rotola pericolosamente vicino alla linea di meta dei Baa-Baas.

La rincorre il numero 10 Phil Bennett che faticosamente riesce a impossessarsi dell'ovale. L'apertura gallese tenta di allargarsi verso la sua destra, poi improvvisamente “inventa” un cambio di passo verso sinistra che manda letteralmente a vuoto il primo centro neozelandese Ian Hurst. Altra finta verso l'interno e anche il seconda linea Hamish Macdonald è fatto fuori. Con un terzo, elettrico movimento verso sinistra elude il numero 7 e capitano All Black Ian Kirkpatrick, fissa il numero 2 Ron Urlich e serve l'ovale verso sinistra a John Peter Rhys Williams.

L'estremo gallese viene placcato chiaramente al collo dall'ala Williams, l'autore del calcio da cui tutto nasce, ma riesce a proseguire l'azione e a servire John Pullin. Il tallonatore inglese fa qualche metro all'interno dei propri 22 e passa la palla al capitano di giornata, John Dawes. Il centro gallese supera la linea dei 22 con la palla in mano, evita un placcaggio da dietro, fissa un avversario all'altezza della linea dei propri 10 metri e serve a destra l'accorrente Tom David.

Il flanker gallese supera la linea di metà campo in piena corsa e, poco prima dei 10 avversari, viene placcato aggressivamente dal pilone Graham Whiting. Con un gesto tecnico che ha dell'incredibile, David “inventa”, cadendo, un passaggio a una mano verso sinistra, che trova, puntuale, Derek Quinnell.

Il numero 8 gallese si allunga per prendere il pallone leggermente basso, riesce a non farlo cadere e a proseguire la corsa. Sbilanciatosi in avanti, si vede però costretto a passare il pallone. Ma non lo fa come l'avrebbe fatto chiunque altro. No, lo fa anche lui con una mano sola, sempre verso sinistra, quasi senza guardare.

E su quella palla in volo, spuntando dalle retrovie, si avventa Gareth Edwards.

Il mediano di mischia, anch'egli - manco a dirlo - gallese, afferra l'ovale, supera di slancio il disperato tentativo di placcaggio dell'estremo Joe Karam e si invola al'interno dei 22 lungo l'out di sinistra.

L'ala neozelandese Grant Batty tenta un ultimo miracoloso placcaggio, ma Edwards è già in tuffo oltre la linea.

“What a score!”, “Che meta!”, esclamerà Cliff Morgan, il telecronista della BBC chiamato due ore prima della partita per sostituire l'influenzato Bill McLaren, titolare del posto.

E in effetti fu davvero una meta spettacolare, unanimemente ritenuta la più bella meta di tutti i tempi. Sei passaggi, due dei quali quasi impossibili, cambi di passo, finte, in oltre 20 secondi di gioco continuo. Il tutto a una velocità che non sfigurerebbe nemmeno al giorno d'oggi.

Se non fosse stato per Pullin, la più bella meta di tutti i tempi sarebbe stata tutta di marca gallese. Ma in campo non c'erano solo giocatori gallesi. C'erano anche inglesi, irlandesi e uno scozzese. E, naturalmente, i neozelandesi.

Tutti furono protagonisti di una partita che, al pari di quella meta, That try, fu davvero memorabile. Vinsero i Barbarians 23-11 e, se non fosse stato per alcuni placcaggi miracolosi, forse altre mete di quella partita contenderebbero il titolo a quella di Gareth Edwards. Vedere per credere.

https://www.youtube.com/watch?v=ZMd7PQavavw

Franco Luciani

n° 13 di Franco Luciani

rugbycult 13 ok

 

Storia di mete

che hanno fatto la storia

 

2. L'azione indimenticabile

 

Padova (Italia), Stadio Plebiscito, 6 giugno 1992


Si gioca la finale scudetto tra Benetton Treviso e Rugby Rovigo. Partita secca, in campo neutro.
Davanti a 9.500 spettatori circa, i trevigiani costruiscono quella che Paolo Rosi, storico telecronista RAI del rugby, definì “un'azione indimenticabile”.

Umberto Casellato calcia nell'area dei 10 metri del Rovigo, Piolo recupera il pallone, tenta un contrattacco, salvo poi decidere di provare un calcetto a seguire, che finisce nei 10 della Benetton.

Il compianto Piero Dotto, funambolico estremo trevigiano, recupera il pallone, evita un avversario e poi, placcato, imposta una ruck. Walter Cristofoletto, improvvisatosi mediano di mischia, fa uscire velocemente la palla dal raggruppamento e la passa a Michael Lynagh.

L'apertura australiana, laureatasi campione del mondo l'anno precedente, passa, praticamente da fermo, al centro Sergio Zorzi che riesce a trovare un varco nella difesa. Superata la linea di metà campo, Zorzi incrocia con Leandro Manteri. L'ala livornese prende palla, fissa immediatamente un avversario e scarica all'interno per Oscar Collodo.

Collodo rientra leggermente e “inventa” un sottomano con il quale serve Raffaele “Lello” Dolfato. Il flanker trevigiano, scomparso anch'egli troppo prematuramente, incrocia con Giovanni “Ciccio” Grespan dentro i 10 rodigini.

Il pilone trevigiano tenta un passaggio “gancio” stile pallacanestro che non trova compagni disponibili, ma che fortunatamente non finisce “in avanti”. Lynagh, schieratosi in sostegno al largo, si tuffa sul pallone, lo recupera e lo fa rivivere, nuovamente nelle mani di Manteri.

Offload (allora, il termine non si usava ancora...) dell'ala per Stefano Rigo che serve ancora Grespan. Il pilone imposta una ruck, dalla quale Dolfato, in posizione di mediano di mischia, fa uscire un rapido pallone per Collodo, schieratosi all'apertura.

Collodo fissa il suo avversario diretto quasi all'altezza dei 22 avversari e serve nuovamente Dotto. L'estremo fissa anch'egli un giocatore rodigino e allarga il pallone per Enrico Ceselin.

Ceselin entra nei 22 del Rovigo, raddrizza la corsa e, mentre è placcato da un avversario, passa l'ovale all'accorrente Lynagh.

L'australiano abbassa il braccio sinistro per prendere il passaggio leggermente basso, raccoglie il pallone con la mano sinistra, se lo porta sotto il braccio destro e si tuffa oltre la linea.

Quattordici passaggi, due raggruppamenti, quasi 70 metri di campo in oltre 30 secondi di possesso (quasi) continuo. Sono numeri, fatte le dovute proporzioni paragonabili a l'essai du bout du monde. In qualche modo, nel Benetton del 1992, il french flair era presente, ispirato dall'allenatore transalpino Pierre Villepreux.

Grazie a quella meta, e ad altre tre, il Benetton vincerà la partita con il punteggio di 27-18 e si aggiudicherà il quinto scudetto della sua storia. Vedere per credere.

https://www.youtube.com/watch?v=NZN7BtbKZpA

Franco Luciani

 

n° 12 di Franco Luciani

rugbycult 12

 

Storia di mete

che hanno fatto la storia.

 

1. L'essai du bout du monde

 

Auckland (Nuova Zelanda), Eden Park, 3 luglio 1994

 

La Francia gioca il secondo dei due test match contro gli All Blacks nel corso della sua tournée estiva in Nuova Zelanda. Il primo test match, disputatosi il 26 giugno a Christchurch, aveva visto i galletti imporsi con il punteggio di 8-22. La Nuova Zelanda non può permettersi di perdere in casa contro la Francia una seconda volta.

 

E infatti, davanti a 40.000 spettatori, al 78' minuto inoltrato del secondo tempo i Tutti Neri conducono per 20-16. Accade però l'imponderabile.

 

Da un raggruppamento appena dentro la linea della propria metà campo l'apertura neozelandese, Stephen Bachop, calcia il pallone in un angolo all'interno dei 22 della Francia, giusto per tenere lontano i transalpini.

Philippe Saint-André, ala e capitano francese, recupera la palla e inizia un contrattacco disperato. Trova un buco tra tre neozelandesi e ci si infila in piena corsa, un quarto uomo lo rallenta e solo un quinto riesce a fermarlo, quasi all'altezza della linea dei 10 metri francesi.

Si forma un raggruppamento e il tallonatore, Jean-Michel Gonzalez, in posizione di mediano di mischia, fa uscire la palla veloce per l'apertura Christophe Deylaud che accelera, supera la linea dei dieci metri e serve il flanker Abdelatif Benazzi.

Benazzi accelera anche lui e varca la linea di metà campo. Elude con una finta di passaggio un primo avversario, ne fissa un secondo e serve il pallone all'ala Emile Ntamack.

Superata la linea dei 10 metri neozelandesi, Ntamack si porta in prossimità della linea dei 22, fissa l'avversario diretto e cede l'ovale all'accorrente Laurent Cabannes che si porta fino alla linea dei 22 e incrocia con Deylaud che aveva seguito l'azione in sostegno.

Il 10 francese entra nei 22, scarta verso sinistra eludendo un placcaggio e con una finta fa letteralmente sedere il malcapitato Mike Brewer, flanker n. 7 neozelandese. Serve poi il pallone al mediano di mischia Guy Accoceberry e alza le braccia al cielo per esultare.

Ma non è ancora meta.

Accoceberry, infatti, punta in diagonale la linea di meta rincorso da un ultimo disperato difensore All Black. Potrebbe forse lanciarsi oltre la linea di meta e schiacciare l'ovale, ma preferisce servire alla sua sinistra l'estremo Jean-Luc Sadourny che, in tuffo, segna quella che venne definita l'essai du bout du monde. 

"La meta della fine del mondo", che in francese suona anche come "la meta dall'altro capo del mondo": un doppio senso che ebbe molta fortuna tra i transalpini e che divenne poi celebre in tutto il mondo.

Sette passaggi, un solo raggruppamento e oltre 70 metri di campo in quasi 30 secondi di possesso continuo. Il simbolo del cosiddetto french flair, la fantasia francese.

Grazie a quella meta, trasformata da Deylaud, la Francia vincerà anche il secondo test match con il punteggio di 20-23. Vedere per credere.

https://www.youtube.com/watch?v=22Gaw9mrvcE

Franco Luciani

n°11 di Adriana Scalise

ruggero massimiliano

 

Massimiliano Ruggiero 

 

Management e rugby:

strategie vincenti

Gruppo 24 ore, 2012

Recensione pubblicata in Rugby Club, Anno 7° n. 25, luglio 2013

 

A chi è indirizzato questo libro? Ai manager e agli impiegati, agli allenatori ed agli atleti, a docenti e discenti, a genitori e figli. Cioè a tutti. A tutti noi che ci relazioniamo ogni giorno con gli altri e che necessitiamo - molto più di quanto normalmente non si è portati a credere - di regole basilari di gestione (management) dei rapporti interpersonali. 
Inizialmente irretita dal titolo - dopotutto, mi son detta, non mi intendo di strategie aziendali, non sono una dirigente e non so nulla di rugby - ho preso in mano il libro (che del resto mi era stato regalato) ed ho cominciato a leggerlo, con riluttanza, considerata la ritrosia, ovviamente a ritroso. 
Dapprima ho letto le conclusioni, poi l'appendice tecnica (che viene dopo le conclusioni) ed ho quindi preso a spigolare tra le interviste (le quali occupano l'intero corpo centrale del libro). Qui è scattato l'interesse, ho capito che per l'autore questi argomenti: l'azienda e il rugby, fossero solo un pretesto metonimico finalizzato al trattamento di una parte (il rugby, l'azienda) per il tutto (la vita).
Il libro ha una sua struttura interna coerente e precisa, parte dalle origini storiche e dai valori che il gioco del rugby convoglia, per passare poi a parlare dei modelli aziendali come la leadership trasformazionale e la formazione andragogica di tipo esperenziale. Analogie e parallelismi fra l'azienda e il rugby vengono quindi ripresi dai 10 leader (dirigenti, docenti, allenatori ed ex campioni) intervistati da Ruggiero.
Esperienze diverse da cui emerge che il rugby è uno sport generoso che dà si tanto, ma nella misura in cui si è disposti a dare tanto, non ammette cioè scorciatoie (leggi pure furbizie). Sostegno, coesione, fiducia e rispetto sono le parole d'ordine. Ma la sua salienza? E' l'unico sport che non tende ad omologare i giocatori, che ne valorizza le caratteristiche individuali a beneficio di tutta la squadra. Una lezione questa applicabile in azienda come pure ad ogni situazione che comporta dinamiche relazionali.
Buona lettura

Adriana Scalise