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n° 22 di Cyrano

cult 22

 

Thinking out of the box:

una piccola lezione all'Inghilterra.

 

"arbitro, e noi cosa dovremmo fare adesso?"

"non posso dirvelo io, sono l'arbitro non il vostro allenatore"

"potreste trovare una soluzione probabilmente col vostro allenatore, che è più abilitato di me a dirvi cosa fare." 

"Ma quale sarebbe la regola esattamente?"

 

Pur perdendo, domenica l'Italia ha dato una importante lezione di regolamento all'Inghilterra.

E nel tempio di Twickenham!

 

Nella narrazione sportiva si sente spesso usare l'espressione retorica "dare una lezione all'avversario", e questa volta, nella terza partita del Sei Nazioni 2017, gli Azzurri di O'Shea hanno davvero dato una piccola lezione costringendo i leoni Inglesi, in confusione, a chiedere come si debba interpretare una regola del gioco che hanno inventato loro (e per il quale hanno anche inventato le regole!)

Dylan Hartley, tallonatore e capitano dell'Inghilterra, uno con 81 caps in maglia bianca, ha dovuto rivolgersi, supplicando una spiegazione, al bravissimo arbitro Romain Poite per cercare di capire l'interpretazione dell'inusitata tattica difensiva degli Azzurri, i quali sembravano andare volontariamente in fuorigioco dopo ogni punto di incontro, senza che il fischietto francese intervenisse per sanzionarli. Cosa stava accadendo a Twickenham? Ogni volta che un inglese veniva placcato da un difensore Azzurro nessuno degli altri Italiani ha provato a contendere ai sostegni Inglesi il pallone a terra, permettendo alla propria squadra di salire a piacimento oltre la linea del pallone e a mettere pressione agli sconcertati tre/quarti avversari, senza per questo trovarsi in fuorigioco.

La regola infatti sancisce che il placcato e il placcatore nel momento del placcaggio formino un punto d'incontro (breakdown). Se (e solo se) almeno uno dei compagni del placcato e (solo se) almeno uno dei compagni del placcatore intervengono su di loro e, stando sui propri piedi, si contendono, a contatto l'uno con l'altro, il possesso del pallone che si trova a terra ha origine una "ruck". 

Soltanto da quel momento le linee immaginarie che passano - trasversalmente al campo -sull'ultimo piede dei vari partecipanti al raggruppamento determinano per entrambe le squadre l'insuperabile linea di fuorigioco e da quel momento nessuno dei giocatori delle due squadre potrà oltrepassarla, finché il pallone non sarà uscito dalla ruck, senza essere sanzionato.

Rinunciando volontariamente a contendere il pallone a terra, non entrando in contatto fisico con i sostegni Inglesi, gli Italiani non hanno quindi permesso la regolamentare formazione della ruck impedendo così la definizione delle linee di fuorigioco. Perciò, nel pieno rispetto della regola, sono entrati dentro le linee avversarie senza il pericolo di essere puniti. (Se non c'è raggruppamento, mischia o touch ogni giocatore è libero di posizionarsi dove meglio crede dentro il campo).

La regola è nata per permettere a chi vince la ruck di scegliere come e dove giocare il pallone leggendo la posizione degli avversari che si trovano distribuiti a sufficiente distanza davanti a sé. Naturalmente è molto più complicato farlo trovandoli invece intercalati ai propri compagni dentro il proprio campo.

Le regole sono fatte per dare un senso al gioco, devono essere conosciute, comprese e rispettate, ma anche intelligentemente interpretate. L'Italia nel fare ciò che ha fatto non ha infranto la regola l'ha sagacemente utilizzata per fare il proprio gioco, per difendersi più efficacemente.

Se vuoi fare la differenza puoi e interpretare il rugby con creatività: O'Shea, giocando intelligentemente con la vecchia regola ha inventato il rugby punk, cubista, situazionista, rivoluzionario. 

Ha pensato fuori dalla scatola (come direbbero gli Inglesi!) e i fortissimi Inglesi, per un tempo intero, non ci hanno capito più nulla.

 

Cyrano (con la collaborazione di Gibe)

 

vai al video dove il capitano inglese chiede spiegazioni all'arbitro

 

video rugbycult 22

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

n° 21 di Corrado Denaro

cult 21

 

Storia di mete

che hanno fatto la storia

 

4. La rivoluzione di Lomu

18 giugno 1995, Newlands Stadium di Cape Town, Sud Africa

È la Coppa del Mondo del 1995. Quella che si giocò in Sud Africa, quella del ritorno dei leggendari Springboks dopo la fine dell'apartheid, l'edizione di Mandela e Pieenar, delle fughe di Chester Williams e del drop di Stransky.
Ma fu anche la Coppa del Mondo che mostrò al mondo un enorme, inestimabile diamante chiamato Jonah Lomu.
20 anni, nato da genitori tongani ma destinato a rinnovare la leggenda All Blacks, un corpo sovrumano, un Golia senza precedenti, almeno nel ruolo di ala: 1,96 m per 120 kg di pura energia. Energia nel senso einsteiniano del termine: ossia un'enorme massa sparata alla velocità della luce.
Al liceo, tanto per dire, questo ragazzo straordinario aveva corso i 100 metri piani in poco meno di 11 secondi.

In quel suo primo mondiale, Lomu fece letteralmente a pezzi le difese avversarie. Assolutamente impossibile da fermare nell'uno contro uno, impegnava da solo almeno tre avversari, e succedeva di frequente che ne uscisse vincitore, come una palla da bowling che abbatte i birilli, come un Bud Spencer che fa saltare in una sola mossa un gruppo di teppisti sgangherati.
Il 18 giugno, a Città del Capo, si gioca la semifinale mondiale tra Nuova Zelanda e Inghilterra. Il giorno prima, gli Sprimbocks di coach Christie hanno già raggiunto la finale sconfiggendo la Francia nella bolgia di Durban.
Lomu è l'osservato speciale, da giorni tecnici esperti e tifosi inglesi non fanno che dire la loro su come sarà possibile fermare il ciclone. Tutte parole al vento.
È passato solo un minuto e mezzo dall'inizio dell'incontro: gli All Blacks sono partiti a spron battuto, c'è una ruck sui 30 metri inglesi; il mediano neozelandese Graeme Bachop raccoglie la palla e riparte lesto, ansioso di mettere in gioco la sua arma proibita; ma il suo passaggio è orribile, Lomu viene saltato dalla palla e deve tornare indietro, riparte da fermo dai 40 metri, spalle alla meta e isolato contro 3 galletti inglesi ad aspettarlo: azione finita? Nemmeno per sogno: Lomu parte come una furia, evita il placcaggio di Tony Underwood allontanandolo con un braccio, Will Carling sarebbe in ottima posizione ma prendere un Lomu in velocità è impresa impossibile: ogni metro ti distanzia di due, dopo 7 passi Carling sembra già troppo lontano per intervenire, ma si tuffa alla disperata sulla linea dei 22 e riesce a portare una francesina miracolosa: ferisce il gigante, che ora barcolla, sembra destinato a cadere in avanti; di fronte alla linea di meta inglese, l'ultimo difensore Mike Cutt, oggi allenatore azzurro dei trequarti, aspetta coi piedi ben piantati a terra un Lomu completamente sbilanciato: tirarlo giù, almeno questa volta, sarà un gioco da ragazzi.
E invece no: arriva la meraviglia.
Cutt si abbassa, decide di andare in sicurezza, placcando alle gambe anziché al corpo, come ti insegnano fin dal minirugby. Solo che Lomu usa Cutt come appoggio umano, trova in un avversario agguerritissimo un perfetto alleato, affonda le ginocchia quasi a terra sulle spalle di Cutt, lo spazza via di potenza, ritrova l'equilibrio e schiaccia in meta.
Abominevole, stupefacente, entusiasmante Lomu!

https://www.youtube.com/watch?v=3EdUxq-ZxQ4

 

n° 20 di Adriana Scalise

Jonny Placca GS

 

Giorgio Sbrocco

 

Jonny placca

La prima indagine di Sergio Penuria rugbista

2015 Piazza Editore

(in copertina: «In the moon» di Elena Barbini, 2015)

 

Li abbiamo sentiti cantare, li abbiamo visti recitare, scrivere libri di psicologia e di management. Abbiamo letto con gusto i loro racconti ed apprezzato (persino) i complessi manuali sul gioco del rugby, ma una “Spy Story” che ha il rugby come filo conduttore … ci mancava. Giorgio Sbrocco con il libro Jonny placca è riuscito egregiamente a colmare anche questa lacuna.

Tranquilli …! Non ho intenzione di raccontarvi la traccia del libro né di svelarvi alcunché. Sono consapevole del fatto che i presunti futuri lettori ci tengono molto a scoprire da soli il contenuto del libro.

Ed eccovi, allora, soltanto qualche indizio.

Il libro è percorso da una profonda autoironia cha alla fine di ogni pagina vi strapperà un sorriso invitandovi ad andare avanti.

Il linguaggio è colloquiale, costruito sull'intreccio spontaneo dei dialoghi fra i personaggi e le considerazioni “a mente” del protagonista, una sorta di flusso di coscienza che scorre lungo la trama del libro rendendone la lettura assai avvincente.

Il protagonista Sergio Penuria è un eroe / antieroe, un eroe per caso o meglio - e qui intravedo una stilettata alla classica retorica americana - un eroe ignoto il quale, alla fine del racconto, rimane tale, ovvero ignoto.

Ed il rugby..? Il rugby che attraversa il racconto non è quello dei professionisti o dei protagonisti di questo sport. E' piuttosto quello della gente comune, quello che si gioca per il gusto di stare assieme e condividere momenti di gioco e di spensieratezza. E' il rugby giocato alla domenica “tanto per evitare di andare a pranzo dalla suocera o all'Ikea”.

Allora che dire … ? Buona lettura e che la caccia al colpevole abbia inizio.

Adriana Scalise


Giorgio Sbrocco, trevigiano trapiantato a Padova, con qualche decente trascorso sui campi con le porte ad acca, racconta la prima inchiesta condotta da Sergio Penuria, il questurino rugbista protagonista di Diario Ovale (Piazza Editore, 2014).

 

n° 19 di Franco Luciani

Le Tre Rose

 

Passato, presente e futuro

 

La rubrica Rugby Cult è ideata come uno spazio in cui rugby e cultura si incontrano, si incrociano, si mescolano, un luogo dove si narrano storie di rugby che hanno fatto la storia del rugby.

Giocoforza, i contributi della rubrica si sono finora rivolti al passato. Hanno evocato antichi giochi che ricordano quello moderno della palla ovale, ricordato partite, episodi e mete memorabili, recensito libri di storie vissute o dischi con canzoni leggendarie.

Volgere lo sguardo al passato per guardare al futuro: questo è l'obiettivo. Del resto, questo è quanto insegna e obbliga a fare il rugby: andare avanti, passando indietro...

Rugby Cult continuerà a essere questo: raccontare ciò che è stato per capire cosa siamo stati e cosa stiamo diventando.

Questa puntata è però dedicata al presente: una storia di oggi, che è già storia di ieri, ma che può diventare la storia di domani.

È la storia della Tre Rose, squadra di rugby di Casale Monferrato, iscritta al campionato italiano di serie C2. È composta quasi esclusivamente da rifugiati, richiedenti asilo passati per Lampedusa. Un rumeno, un argentino, un italiano, due albanesi, vari marocchini e molti ragazzi provenienti dall'Africa sub-sahariana. Un ragazzo ivoriano, prima di arrivare a Lampedusa con un barcone, ha attraversato a piedi il Burkina Faso e il Niger.

Quattro anni fa, il presidente della società ha avuto un'idea: proporre di fare rugby ai 150 profughi accolti in una cooperativa sociale della zona, che li assiste, in attesa che la loro domanda di asilo sia accolta o meno, con corsi di italiano e di formazione professionale. In molti hanno raccolto l'invito.

La Federazione ha concesso una deroga speciale per questa squadra, vale a dire poter schierare fino a 22 stranieri contemporaneamente, tra titolari e riserve. Del resto, è una squadra in eterno divenire, perché, al termine dell'iter burocratico per la richiesta d'asilo, alcuni se ne vanno; altri invece arrivano.

Domenica 28 maggio hanno vinto la loro prima partita dopo 15 sconfitte in altrettanti incontri.

La vera vittoria, però, è nella parole di uno dei giocatori: «Nella squadra siamo tutti uguali: bianchi, neri. Lottiamo insieme, e quando uno è in difficoltà allora è l'altro che lo aiuta. Poi alla fine della partita mangiamo insieme ai nostri avversari. È bello. Anche la vita di tutti i giorni, dovrebbe essere così».

Storie come questa fanno guardare al presente con occhi diversi e fanno ben sperare nel futuro.

Complimenti alle Tre Rose Rugby, e un grazie a Massimo Calandri per averla segnalata su repubblica.it il 31 maggio:

http://www.repubblica.it/rubriche/la-storia/2016/05/31/news/rugby_da_lampedusa_al_campionato_di_c2_la_vittoria_e_arrivata_all_ultima_giornata-140995635/?ref=HRLV-3#gallery-slider=140954462

 

Buona lettura!

Franco Luciani

 

n° 18 di Franco Luciani

rugby cult 18

 

 

 

 

 

Quando il destino chiama...

 

 

 

 

 

 

 

Questa è la storia di un tranquillo giorno di ottobre del 2011. È la storia di uno che, in quell'estate neozelandese, stava pescando con amici e immancabili birre al seguito.

E improvvisamente arriva una chiamata, la chiamata.

Questa è la storia, quasi incredibile, di un'occasione imperdibile.

Perché, quando il destino chiama, bisogna farsi trovare pronti, anche se si sta pescando con gli amici, bevendo qualche birra.

Perché non bisogna mai smettere di pensare che anche i sogni impossibili possano realizzarsi.

Questa è la storia di Stephen Donald, campione del mondo con gli All Blacks nel 2011, ben raccontata nel blog anonimapiloni:

https://anonimapiloni.wordpress.com/2016/03/16/il-treno-di-donald/

Buona lettura!

Franco Luciani

 

n° 17 di Adriana Scalise

rugbycult

 

Na roba fata bén. Il rugby cantato della Tarvisium


L'avversario più difficile da battere non gioca con l'altra squadra ma è quello che ognuno di noi si porta dentro.
[tratto da discorso di Ino]

 

Permettetemi una riflessione ancora …

Se, come è a tutti noto, fu proprio il passaggio dall'oralità alla scrittura a determinare quella che noi oggi chiamiamo Storia, allora, per analogia, possiamo affermare che l'incisione di un disco, come quello uscito a settembre, Na Roba Fata Bén! - il rugby cantato della Tarvisium, della Tarvisium, appunto, ne sancisce la Storia.

In epoca preistorica, la poesia, il canto, fungevano da facilitarori del ricordo, quindi la ripetizione, il rito e il ritmo, ne garantivano la trasmissione. La “memoria”- ovvero quel serbatoio di conoscenze che ci precede - è giunta fino a noi soprattutto attraverso la musica (mousiké) - termine con cui nell'antica Grecia si intendeva l'insieme delle arti presiedute dalle Muse, ovvero la poesia, il teatro, la danza, il canto, accompagnate da uno strumento musicale - ed era questo l'unico modo per ricordare e tramandare le vicende accadute.

L'iniziativa di incidere un CD con le canzoni “storiche” della Tarvisium si deve alla volontà di un manipolo di veterani, ai quali è balenata l'idea durante l'evento organizzato in occasione della presentazione del libro Cartacaramella, il buon fare - (non) raccontare favole di Paolo Marta, e dopo avere ascoltato la felice esecuzione delle canzoni della Tarvisium da parte di Ricky Bizzarro & na roba fata Band.

Ci auguriamo che l'ascolto delle canzoni contenute nel CD, per i giovani rugbisti e per tutti noi che non abbiamo vissuto le vicende della Tarvisium “di prima generazione”, significhi conoscere azioni e sensazioni che non ritornano più ma che pure possono ancora essere apprese sia, come di fatto avviene, attraverso l'esempio e l'insegnamento dei maestri, sia attraverso queste antiche canzoni.

Tuttavia, l'augurio più grande che mi sento di esprimere è sentire questi ragazzi cantare, cosa che, è stato già notato, non avviene quasi più. E non importa che siano canzoni vecchie o canzoni nuove, canzoni inventate e/o su melodie rubate, l'importante è … continuare a condividere le emozioni.

Adriana Scalise

 

vai all'articolo un CD imperdibile!