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presa al volo / n°34

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cera una volta ....IL GIGANTE

 

Questa storia ha inizio negli anni ottanta, la Tarvisium sulla spinta degli ultimi scudetti giovanili decide di intraprendere una nuova sfida, quella di darsi un'organizzazione societaria adeguata ai tempi ma soprattuto decide di scegliere di andare per la propria strada, avviando l'attività seniores costruendo la propria prima squadra e iscrivendosi al campionato di C2, sotto la guida di Natalino Cadamuro e con il rientro di molti SPRYBRYCKS (i “compagni di cui siamo privati perché con altre squadre ora son tesserati” della canzone…). La storia sportiva sappiamo poi come è andata, una galoppata di poche stagioni, con il passaggio di testimone tra Cadamuro e Pizzolato, culminata con la promozione in seria A1. L'abbiamo raccontata meno di un anno fa all' audutorium Appiani nel giorno dei 600. Ma questa storia non si sarebbe potuta raccontare se un gruppo di persone, non solo allenatori, giocatori o dirigenti, ma semplicemente persone innamorate, oltre che dei propri figli o compagni, della Tarvisum, non avesse deciso di provare a dare un sostegno economico a questi folli visionari che avevano deciso di voler arrivare a giocare in serie A. Inizia così l'esperienza delle fiere di San Luca, molte stagioni dove lo stand della Tarvisium diventava per quel periodo il punto di ritrovo di tutti, giocatori, tifosi, appassionati, ma soprattutto in quei giorni di ottobre si mettevano da parte una gran parte delle risorse economiche necessarie ad affrontare tutta la stagione. Poi arrivano gli anni '90, in quel periodo viene affidata alla Tarvisium la gestione dell'impianto Stiore, la nuova occasione è il trofeo Topolino U8, quel gruppo di persone raccoglie la nuova sfida e diventa una struttura integrata in tutto e per tutto con la società. Paolo Marta nel suo libro Ruggers decide di fare un pezzo e parlarne, soprattutto dandogli un nome, quel gruppo di persone da allora si chiamerà GIGANTE. Arrivano poi le 9 serate e successivamente anche la creazione della Club House della Tarvisium sotto la sapiente regia di Claudio Scotto. Il gigante da allora è lo sponsor più importante delle società, ma è anche miglior amico, quello che non ti abbandona mai, è sempre lì pronto festeggiare le vittorie più belle o a consolarti dalle sconfitte più dolorose, il gigante c'è sempre.

Mi sono arrivate tra le mani alcune foto di allora, le guardo, sorrido, quanta strada abbiamo fatto assieme, quanto è stato bello assaporare il tuo abbraccio, GIGANTE.

Valentino Colantuono

 

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pannello gigante 

 

presa al volo / n°33

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SPRYBRYCKX

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

una storia... la più bella!

 

19 dicembre 2015, Corrado manda una foto, il Cin con suo figlio Ettore e suo nipote Lorenzo, sullo sfondo il Milani e personaggi leggendari per me che da ragazzo studiavo da rugbista e soprattutto da uomo: Gianni Zanon, Claudio Colusso, Rino Francescato, ma soprattutto Gibe, il mio primo allenatore. Lo chiamino "imprinting", è ciò che ti arriva addosso al primo istante di qualsiasi esperienza, ma è ciò che ti rimarrà impresso per tutta la vita. Chissà se questi ragazzi si siano resi mai conto di essere stati così importanti per un'intera generazione di ragazzini, oggi uomini. Per noi allora, non c'erano Carter, Ma'a nonu, Ritchie McCaw, c'erano loro e molti altri, che avevano vestito la maglia rossa e che erano arrivati a rappresentare la Tarvisium nel mondo. Che orgoglio! Noi cercavamo di vincere i campionati giovanili per essere alla loro altezza e quando avevamo occasione di incontrarli in campo, il 24 dicembre di ogni anno, ci sentivamo parte di una famiglia speciale, originale, unica.
Il 24 dicembre 2015 saremo lì, tutti assieme, al campo San Paolo, a continuare a raccontare una storia, la più bella, la mia preferita.

Valentino Colantuono

ndr: per chi volesse saperne di più:

vai a storia 4 . i sprybryckx (menù club, storia) 

 

presa al volo / n°32

rugby la plata completaok

 

Mar del Plata

qualcosa da ricordare

 

Il 15 gennaio scorso Franco Luciani, in una delle sue più avvincenti proposte nella rubrica rugby.cult (la numero 8) ha pubblicato un toccante commento sulla tristissima storia di una squadra di rugby, dopo aver letto "Mar del Plata", il libro che la racconta (scritto dal giornalista, deputato della camera e figlio di Giuseppe - ammazzato dalla mafia - Claudio Fava).

Giovedì 26 novembre, introdotto da Andrea Passerini (che con la consueta sensibilità ci fa ancora una volta pensare che è uno dei pochi che, senza averlo giocato, sa davvero parlare di rugby) Claudio Fava, nel piccolo accogliente auditorium Palazzo Bomben, sede della Fondazione Benetton, ha parlato dell'abominevole vicenda, della quale tratta il suo racconto, successa alla fine degli anni 70 nell'Argentina della sordida dittatura militare di Jorge Videla e dei suoi nefandi macellai.

Dall'odioso fango di un passato recente – che una inammissibile ragione di Stato vorrebbe cancellare dalla storia e dalla memoria collettiva – le parole di Fava hanno invece fatto emergere in modo rigoroso, asciutto e non  retorico la luce cristallina che emana dal ricordo dei 17 ragazzi della Plata Rugby Club che gli sgherri di uno stupido e sanguinario regime assassinarono – uno alla volta – sopprimendoli insieme agli altri quasi quarantamila "desaparecidos", nei voli della morte o in altri modi altrettanto atroci. Nella sua ignorante furia devastatrice quel governo illeggittimo privò il mondo dell'energia, dell'intelligenza, del dinamismo e dell'allegria di quel manipolo di impavidi "chicos" e di una intera generazione di giovani argentini.

È una piccola terribile storia ma, anche, estremamente edificante e mi permetto di riparlarne ancora una volta, con la speranza che tutti i ragazzi che giocano a rugby leggano prima o poi questo libro, perché nelle figure di quei ragazzi nel loro pensiero, nell'immaginare i loro volti possano riconoscere anche il senso più alto dell'essere "umanamente rugbysti".

Avrebbero potuto salvarsi quasi tutti, quei giovani giocatori, evitare lo spavento e la paura, le torture fisiche e le mutilazioni, sfuggire la morte. Sarebbe loro bastato abbandonare la squadra o il Paese, smettere di giocare, piegare la schiena e la coscienza, rinunciare allo status di uomini liberi che rivendicano il loro sacrosanto diritto di scegliere.

NON LO FECERO!

Scelsero invece la squadra, il rugby e quello che questo rappresentava per loro. Entrarono in campo ogni domenica consapevoli che durante i giorni successivi qualcuno tra loro avrebbe pagato col martirio e con la vita tanta sfrontatezza. E lo fecero senza la pretesa di essere eroi, accettando la più crudele delle conseguenze per amore verso i propri compagni per tenere ben dritta la propria schiena e per non dover mai abbassare lo sguardo: portarono  l'estremo definitivo placcaggio, senza indietreggiare di un millimetro, al più vigliacco e abominevole degli avversari.

Vorrei, come sono certo vorrebbero il nostro Presidente, Franco, i due Marco, Titta e Mariano, che l'altra sera, con me e Lisa, hanno assistito all'incontro, che la lezione di quei giovani coraggiosi non fosse ignorata, che l'esempio che ci hanno lasciato in quei giorni terribili fecondasse il cuore e le menti dei nostri ragazzi perché possano crescere più solidi nei VERI VALORI, capaci di affrontare nel campo e fuori dal campo le vicende della vita e i manrovesci del destino, di difendere con orgoglio l'autonomia del proprio pensiero, la nobiltà delle  idee e il diritto di esprimerle, il valore assoluto del rispetto, della lealtà e dell'amicizia, incondizionata e autenticamente condivisa

ruggers, leggete questo libro!

 

Gibe

presa al volo / n°31

papa lasciami giocare

tratto da "la Provincia di Cremona"
vai all'articolo on line

 

ombre cinesi

Prendo spunto dalla “lettera” che viene pubblicata per fare alcune considerazioni, molte delle quali nate da situazioni vissute in prima persona, dopo 3 anni come accompagnatore del minirugby in Tarvisium e quasi 8 come padre.
I nostri figli hanno un diritto inviolabile, hanno il diritto al gioco.

Purtroppo per questioni di tempo, di impegni scolastici, di impegni della famiglia, di condizioni “urbanistiche” (in città con sempre meno spazi sicuri), le condizioni della vita contemporanea sono di grande ostacolo alla possibilità per i nostri figli di giocare liberamente tra compagni di scuola o vicini di casa.
Il gioco libero, quello inventato sul momento e giocato in assoluta spontaneità, è troppo spesso costretto nelle sole ricreazioni scolastiche o all'interno delle case con i pochi amici che sono liberi dagli altri numerosi impegni, o che possono essere accompagnati dai nonni (per chi ha la benedizione di averli...).
Fortunatamente molte associazioni sportive in parte sopperiscono, con le loro attività, a queste mancanze, creando momenti aggregativi in spazi sicuri e possibilità di gioco attraverso la pratica sportiva.
Ancora più fortunatamente molte famiglie hanno colto queste opportunità per i propri figli e li avviano a quello sport e a quel gioco che, scuola e società, dovrebbero garantire, ma che stentatamente riescono a dare.
Sarà perchè vestono una divisa con i colori di una società.
Sarà perchè ogni pratica sportiva implica una qualche forma di competizione.
Sarà perchè ogni incontro o gara o prova inevitabilmente lascia come segno più visibile (ma non il più significativo) un risultato numerico a tabellone.
Sarà perchè la domenica li guardiamo giocare senza esserci ancora e davvero scrollati di dosso la competizione, la pressione, le aspettative dei nostri lavori e delle nostre giornate.
Sarà perchè forse da troppo tempo non giochiamo più e da troppo tempo siamo imbrigliati nella “vita vera”.
Sarà perchè li amiamo tantissimo.
Per tutti questi motivi, e per tanti altri (ciascuno di noi per i propri), capita che, senza volerlo e senza capirlo, finiamo per essere l'ennesimo ostacolo al libero esercizio di quel diritto al gioco dei nostri figli.
Accade ovunque (anche nel rugby di base), capita (in mille subdole e impercettibili forme) sempre più spesso.
Confesso, anche in maniera un po' ingenua, quello che ho vissuto io in prima persona o attraverso le esperienze dirette dei bambini e degli adulti che ho conosciuto in questi anni.
Non credo che siano errori da condannare e basta, ma debbano essere spunti per riflessioni personali e impegni a migliorarsi.
L'obbligo all'impegno e alla costanza, vissuto come un dovere quasi assoluto. “Devi andare agli allenamenti e impegnarti perchè ti ho iscritto, ho pagato la quota e quindi adesso lo devi fare...”. Beh, è vero: l'ho iscritto io genitore, ma mio figlio mi ha SOLO detto che (tra le proposte che aveva a disposizione) a lui piaceva quella... non ha firmato un contratto, e magari avrebbe (se avesse potuto) scelto semplicemente di giocare tutto il giorno in giardino od in strada; solo che quest'opzione non ce l'aveva. Un bambino, a 6 o 10 anni, può tranquillamente cambiare idea, anzi proprio questa discontinuità gli serve per valutare (come se andasse per tentativi empirici) quello che gli piace o meno.
Un bambino scopre ogni giorno cose nuove (non ha già visto tutto come gli adulti) e si appassiona e interessa a cose diverse. Quindi quello che ieri gli piaceva, magari oggi è passato in secondo piano e domani magari tornerà a piacergli.
Certo, praticare uno sport prevede e insegna la dedizione e l'impegno, ma tutto deve crescere e svilupparsi in maniera naturale.
Spesso noi adulti sentiamo il bisogno di intervenire negli screzi tra bambini o nelle decisioni prese dagli aduli durante il gioco (quasi a voler proteggere dai pericoli o dalle ingiustizie). Troppo amore? Ci aspettiamo che il gioco e lo sport, in quanto attività regolamentata, sia imbrigliato nelle regole e negli schemi che noi percepiamo in qualità di adulti?
In realtà nel gioco libero i bambini, come tutti i cuccioli di animale, stabiliscono e poi cambiano e poi migliorano le regole in piena autonomia.
Trovano i loro leader (i capi gioco), fanno le squadre con i propri imperscrutabili criteri (e non necessariamente scegliendo i più forti), litigano, si azzuffano (determinando quindi delle gerarchie) e sanciscono la pace. Tutto da soli.
Ecco, nelle attività sportive dell'infanzia, questi aspetti di ricerca e costruzione dell'autonomia del bambino devono essere rispettati. Sebbene lo sport sia giustamente regolamentato, in quello dell'infanzia è presente anche l'aspetto ludico e tale aspetto ha un valore fondamentale per il bambino che lo pratica (anzi che lo gioca). Gli educatori “semplicemente” indirizzano e finalizzano le energie e le azioni dei bambini verso lo scopo del gioco e la conseguente comprensione delle regole. Ma senza il divertimento e l'interpretazione data dai bambini, non può nascere la successiva passione per lo sport che praticano. Lo sport dell'infanzia deve essere divertente ed anche interpretato a misura di bambino.
Le questioni dei bambini dovrebbero essere risolte tra i bambini.
E quando mi capita di parlare loro, mi è stato insegnato di piegarmi sulle ginocchia per essere alla loro altezza e creare un contatto più diretto ed equo. Ho scoperto che questo gesto, questo piegamento, mi serve a ricordare di abbandonare in parte il punto di vista dell'adulto e di assumerne anche la visione del bambino.
La libertà nel gioco, anche nell'attività sportiva dell'infanzia, passa anche attraverso la crescita dell'autostima, la graduale confidenza nelle proprie capacità e quindi nel miglioramento graduale.

In conclusione capita che le aspettative, le frustrazioni, i sogni degli adulti vengano proiettati sul bambino.
Come ombre cinesi su di uno schermo bianco.
Ma quello schermo appartiene al bambino, e solo lui ha il diritto di riempirlo di disegni, di sogni, di giochi.
Il rugby è uno sport di situazione (e di combattimento regolamentato).
I nostri figli devono poter sperimentare le mille soluzioni possibili ed ogni volta diverse che le situazioni gli pongono. Lo devono poter fare in libertà, in serenità, senza costrizioni esterne se non il graduale processo di apprendimento delle regole del gioco/attività sportiva.
Solo garantendogli il diritto al gioco, facendoli divertire e appassionare saranno capaci di trovare gli stimoli per l'impegno, la costanza, la dedizione e il sacrificio.

E chi viene a giocare a minirugby in Tarvisium, lo schermo su cui disegnare il proprio divertimento, il proprio gioco, la propria crescita, lo trova colorato del verde dei nostri campi.

 

Alberto Scotto

presa al volo / n°30

presa al volo 30

 

giornate mondiali

 

Lo so, non ho titolo per dirlo, ma sono convinto che questi siano stati i più bei mondiali dall'inizio della loro storia ad oggi.
Non abbiamo mai visto tante partite così belle in così poco tempo, soprattutto non abbiamo mai provato cosi tante emozioni concentrate assieme e così tanto significato trasmesso dal nostro sport.

Pronti via e subito una sorpresa, la partita che non ti aspetti, la vittoria che non ti aspetti, la sconfitta che non ti aspetti, il Giappone batte il Sudafrica e come lo batte, scegliendo di non pareggiare, ma capendo che quella può essere la sola e unica occasione per cambiare la storia sportiva di una nazione. Vince e cambia la sua storia.
Poi arriva Inghilterra Galles, una partita attesa da quattro anni, decine di migliaia di richieste di biglietti andate inevase, l'Inghilterra che arriva al punto di demolire anche fisicamente il Galles, che vuole umiliare con l'ultima meta, il Galles che reagisce, ancora ci chiediamo come, e vince. Ma le sorprese non sono finite, l'Australia umilia l'Inghilterra in un'altra partita fantastica e la elimina dal Suo mondiale.
E che dire poi di Sudafrica Galles e Australia Scozia, che dire di Argentina Irlanda e soprattutto di Argentina Australia. Credo che il viso tumefatto di Poccok alla fine della partita unita all'immagine del pianto inconsolabile di Daniel Hourcade allenatore argentino rimarrà un ricordo stampato nella memoria di questo mondiale.

È stata una domenica particolare quella di Australia Argentina, avevamo appena visto la nostra prima squadra vincere nel suo esordio casalingo e i ragazzi in maglia rossa tornare a cantare a Monigo, ma in quella stessa mattina avevo assistito a qualcosa che mi aveva disturbato molto, la gara di moto GP nella quale Valentino Rossi aveva deciso di farsi giustizia da solo, continuando poi a fare la vittima, come già altre volte gli avevo visto fare nella sua carriera. Mi ha disturbato soprattutto la solidarietà ricevuta prima e soprattutto dopo la gara. Lo sport ha le sue regole non scritte che vanno tenute nascoste tra gli uomini di sport, se tali sono e non messe in piazza, ma soprattutto vanno rispettate le regole scritte, scritte per tutelare il rispetto, l'etica, i principi. Ciò che è accaduto prima, durante e dopo quella gara non ha nulla a che fare con lo sport e non ha nulla di educativo per chi dallo sport deve imparare.

Ma ancora una volta in soccorso dello sport e' arrivato il rugby che si è dimostrato per quello che è. Ho avuto la fortuna, sabato 31 ottobre, di essere uno degli 80125 di Twikenam e di assistere alla finale dei mondiali e di imparare ancora una volta dal rugby. Bello, emozionante, esaltante. L'attesa, gli inni, la haka, si comincia. I neri sono chiamati a mantenere le attese, gli aussie vogliono provarci, ma sono messi a dura prova dal possesso e dal predominio territoriale all black per tutto il primo tempo. All'inizio del secondo tempo con la meta di Ma'a Nonu sembrano al punto di capitolare, ma riescono a tirare fuori le ultime energie che rimangono e segnano due mete per provare a risalire la china. Twikenam finalmente si smaschera, gli australiani timorosi fino ad allora, compreso durante gli inni, sono più numerosi dei neozelandesi e il pubblico neutrale si schiera apertamente con loro, vuole la rimonta. Ma arriva il colpo del campione, quello che segna il mondiale, quel frammento video che rimane nella storia, dopo il drop di Stranski del '95 che abbiamo visto trasposto nel film Invictus e quello di Wilkinson del 2003 proprio contro l'Australia, arriva Dan Carter che da 40 metri taglia le gambe definitivamente ai Wallabies. Da lì in poi, c'è ancora un'altra meta dei kiwi, si aspetta solo di tributare loro il merito di essere campioni del mondo.

Potrebbe bastare così, sarebbe già tutto perfetto, ma non basta, dal rugby arriva un gesto che non si era ancora mai visto. Durante il giro di campo dei campioni per salutare i tifosi un bambino entra nel terreno di gioco per correre ad abbracciare Sonny Bill Williams, tornato a giocare in Nuova Zelanda a 15 con un unico obiettivo, rivincere la coppa del mondo. Uno steward lo insegue e lo placca a terra, SBW si avvicina al bambino facendolo rialzare e coccolandoselo, ciò che succede dopo è qualcosa di impensabile, ma avviene, non può essere raccontato, ho rivisto le immagini diverse volte e ogni volta l'emozione mi chiude lo stomaco.

Quel gesto cambierà la storia di questo fantastico atleta, contribuirà a rendere ancor più leggendaria questa squadra, renderà ancora più orgogliosa una nazione è ancora più grande questo sport.

Mi verrebbe da fare un paragone con quanto ho scritto prima, ma voglio evitarlo, scrivo solo GRAZIE RUGBY, grazie per avermi scelto.

 

Valentino Colantuono

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https://www.youtube.com/watch?v=o1efwKglwZU&feature=youtu.be

 

presa al volo / n°29

i briganti del rugby

 

i briganti del rugby

Nel corso dei giorni scorsi alcuni di noi si sono imbattuti in un pezzo pubblicato nel sito sportallarovescia.it, nel quale si parla dei briganti del rugby di Librino, un club nato in un quartiere difficile di Catania. Nello statuto di questa società si legge che la missione è quella di "promuovere lo sport come strumento di maturazione personale e di impegno sociale basato sul ripudio di ogni forma di razzismo, violenza, intolleranza; l’associazione ha per oggetto la formazione e la preparazione di squadre giovanili e senior, l’esercizio e l’organizzazione di attività sportive dilettantistiche, compresa l’attività didattica, nonché la promozione e l’organizzazione di gare, tornei ed ogni altra attività sportiva. In particolare si prevede lo sviluppo e la diffusione di attività sportive connesse alla disciplina del rugby, intese come mezzo di formazione psico-fisica e morale dei soci e degli atleti, mediante la gestione di ogni forma di attività agonistica, ricreativa o di ogni altro tipo di attività motoria e non, idonea a promuovere la conoscenza e la pratica della citata disciplina. (estratto Statuto Art. 2, let. 1, 2)”.
Una presa al volo senza nessun giudizio od opinione, ma semplicemente per dare voce ad un bellissimo racconto di riscatto sociale.
Buona lettura

Valentino Colantuono

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http://www.sportallarovescia.it/sar5/storie/838-i-briganti-del-rugby